L’Ontosofia Psicosomatica, viene storicizzata con questo importante intervento giuridico del consiglio di stato il quale, dopo svariati decenni , attesta, riconosce e sentenzia la voluta censura, e la superficialità nell’analisi e nel “giudizio” di quella parte del mondo scientifico che ha sacrificato la scienza agli interessi personali, atteggiamenti risultati ostativi alla costituzione di una Scuola di Specializzazione e Formazione in Psicoterapia denominata Ontosofia Psicosomatica.

Dal 1993, anno della sua fondazione,  l’Associazione di Ontosofia Psicosomatica ha svolto e continua a svolgere, attività scientifica e informativa in collaborazione con enti universitari e istituzioni scolastiche, italiane e straniere, pubbliche e private. Inoltre, ha organizzato (e continua a organizzare) convegni, seminari, stages, rassegne artistico-culturali, conferenze e congress.

Sempre dalla stessa data, il metodo terapeutico basato sul Principio di Ontosofia Psicosomatica, è stato risolutivo, cioè ha portato a completa GUARIGIONE, pazienti manifestanti sintomatologie tra le più diverse tra loro, sia prevalentemente psichiche che somatiche o entrambe. Risultati che sono testimoniati dalle spontanee dichiarazioni di tutti coloro che hanno recuperato il loro benessere psicofisico individuale e/o familiare.

RIPORTIAMO LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1153 del 2010, proposto dall’Istituto Ontosofia Psicosomatica Aop – Associazione di Ontosofia Psicosomatica, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Piergiorgio Berardi, con domicilio eletto presso Antonio Cucino in Roma, via Valadier, 39; contro Ministero dell’Istruzione, dell’universita’ e della ricerca, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12; per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE III BIS n. 11121/2009, resa tra le parti; Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’istruzione, dell’universita’ e della ricerca; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2015 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Berardi e l’avvocato dello Stato Tortora; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO 1. L’Istituto di Ontosofia Psicosomatica AOP – Associazione di Ontosofia Psicosomatica (in seguito “l’Istituto”) aveva presentato al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in data 26 gennaio 2005, istanza di abilitazione ad istituire e attivare un corso di specializzazione in psicoterapia in Bari per un numero di allievi ammissibili al primo anno per ciascun anno pari a 15 unità e, per l’intero corso, a 60 unità. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca – Dipartimento per l’università, l’alta formazione artistica, musicale e coreutica e per la ricerca scientifica e tecnologica, con decreto dell’8 luglio 2005, ha dichiarato che “L’istanza di riconoscimento proposta…per i fini di cui all’art. 4 del regolamento adottato con decreto 11 dicembre 1998, n. 509 non è ammissibile, visto il motivato parere contrario della Commissione tecnico-consultiva di cui all’art. 3 del predetto provvedimento”. 2. L’Istituto, con il ricorso n. 10744 del 2005 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, ha chiesto l’annullamento del decreto ora citato e di ogni altro atto presupposto, preparatorio e consequenziale o, comunque, ad esso preordinato e connesso. 3. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza bis, con la sentenza n. 1121 del 2009, ha respinto il ricorso con compensazione tra le parti delle spese del giudizio. 4. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado. 5. All’udienza del 29 settembre 2015 la causa è stata trattenuta per la decisione. DIRITTO 1. Per l’esame della causa è opportuno anzitutto richiamare la disciplina delle fasi essenziali del procedimento di riconoscimento posta dal decreto ministeriale 11 dicembre 1998, n. 509 (Regolamento recante norme per il riconoscimento degli istituti abilitati ad attivare corsi di specializzazione in psicoterapia ai sensi dell’art. 17, comma 96, della legge 15 maggio 1997, n. 127; in seguito “regolamento”), per la quale: a) gli istituti per ottenere il riconoscimento devono documentare, insieme con il possesso dei requisiti strutturali, la “validità del proprio indirizzo metodologico e teorico – culturale ed evidenze scientifiche che dimostrino la sua efficacia” (art. 2, comma 2); b) è istituita una commissione tecnico – consultiva (in seguito “la commissione”), composta da membri scientificamente qualificati scelti tra individuate categorie di studiosi e professionisti specializzati, avente il compito di “esprimere parere vincolante in ordine alla idoneità degli istituti per la istituzione e attivazione di corsi di specializzazione in psicoterapia” (art. 3, commi 1 e 2); c) entro trenta giorni dal ricevimento l’istanza di riconoscimento è trasmessa alla commissione (e all’osservatorio per la valutazione del sistema universitario italiano) ai fini del parere che deve essere reso entro i novanta giorni successivi, salve necessità istruttorie (articolo 2, commi 3, 4 e 6, articolo 3, comma 1); d) i provvedimenti di riconoscimento o di diniego sono adottati su conforme parere della commissione (art. 2, commi 5 e 7); e) “Gli istituti ai quali sia stato negato il riconoscimento possono produrre nuova istanza nella quale, in relazione al provvedimento di diniego, devono essere dedotti, a pena di inammissibilità, elementi nuovi, idoneamente motivati e documentati. Il relativo provvedimento di inammissibilità è adottato previo parere della commissione.” (art. 5, comma 1). 2. Nella sentenza di primo grado: – si richiama che l’Istituto aveva presentato una prima istanza di riconoscimento nel 1993, rigettata previo parere negativo della commissione, una seconda istanza il 22 settembre 2000, anche rigettata con parere del 6 luglio 2001 della commissione, una terza istanza, il 26 gennaio 2005, oggetto di parere negativo nella riunione della commissione del 27 maggio 2005 in sede istruttoria (mancando il numero legale), previa audizione con relazione del rappresentante legale dell’Istituto; questo parere veniva poi ratificato nella riunione della commissione del 24 giugno successivo, in cui si riscontra che la “nuova relazione scientifico – didattica” presentata dall’ Istituto “pur modificata in alcune parti, non presenta elementi nuovi motivati e documentati rispetto alla precedente per la quale nella seduta del 6 luglio 2001 era stata espresso parere negativo”, pervenendosi, infine, su tale base, all’emanazione dell’impugnato decreto di inammissibilità; – tanto rilevato il primo giudice afferma che in questa sequenza procedurale non si riscontra alcuna discrasia stante la possibilità di reiterazione della domanda per gli istituti che avevano subito un primo rigetto; – si respinge quindi la censura per cui l’impugnata pronuncia di inammissibilità in rito maschererebbe una decisione nel merito a causa del riferimento al parere del 6 luglio 2001, essendo consentita la motivazione per relationem dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e non essendo peraltro vietate alla commissione pronunce di mero rito, nonché considerato che l’Istituto ha potuto tutelarsi, comunque, attraverso il richiamo al detto parere per avere con ciò conosciuto le motivazioni del rigetto; – la pronuncia di inammissibilità, soggiunge il primo giudice, è peraltro consentita dall’art. 5 del regolamento, previo parere della commissione, come avvenuto nella specie, risultando dal provvedimento impugnato la mancata proposizione da parte dell’Istituto di elementi nuovi rispetto a quelli alla base del parere negativo del 6 luglio 2001; – si respingono anche la censure dell’operato della commissione relative: l’una, alla mancata considerazione della documentazione allegata alla domanda (suffragata da riconoscimenti di autorevoli esponenti dalla American Psycologi Association) nonché dei risultati clinici ottenuti, in quanto censura volta a sostituire il giudizio della commissione senza dimostrare alcuna illogicità o incoerenza della discrezionalità tecnica così esercitata, unici vizi sindacabili dal giudice; l’altra, all’assenza della previa definizione di criteri o parametri di valutazione, essendo ciò richiesto per il diverso caso della procedure concorsuali ma non per il procedimento in questione che richiede un giudizio sulla validità dell’indirizzo metodologico – culturale dell’Istituto e sull’efficacia del metodo alla luce delle conoscenze scientifiche, come avvenuto nella specie con l’espressione del parere del 6 luglio del 2001 rispetto al quale la commissione non ha riscontrato la sopravvenienza di nuovi elementi. 3. Nell’appello: – a) si ripropongono i motivi del ricorso di primo grado, recanti: violazione dell’art. 2, commi 2 e 7 del regolamento, per carenza di motivazione del provvedimento impugnato, poiché riferito acriticamente al parere della commissione e basato su affermazioni apodittiche a fronte della copiosa documentazione e referenze presentate; violazione dell’art. 5, comma 1, del regolamento, per non aver rilevato gli elementi di novità proposti a corredo della reiterata istanza dell’Istituto; eccesso di potere per vari profili, essendosi dissimulata con un provvedimento di rito la decisione sostanziale di non riconoscimento e mancando nel parere del 6 luglio 2001, parte integrante del provvedimento e perciò impugnabile, ogni preordinazione dei criteri del giudizio, non essendo poi state considerate le specificità del metodo adottato dall’Istituto puntualizzate dal suo rappresentante nella nuova relazione prodotta; violazione dell’art. 3, comma 5, del regolamento, essendo mancato il numero legale nella riunione della commissione del 27 maggio 2005, pure conclusa con una vera e propria valutazione, ed essendosi riferita a tale riunione la commissione, ciò nonostante, nella riunione del successivo 24 giugno tenuta, peraltro, in diversa composizione; – b) si censura quindi la sentenza di primo grado: -b.1) per errata ricostruzione del fatto, non avendo l’Istituto contestato la reiterazione della domanda, al contrario di quanto asserito dal primo giudice, che ha inoltre errato nel riferire alla riunione della commissione del 27 maggio 2005 la carenza di elementi nuovi alla base della pronuncia di inammissibilità e non, come in fatto avvenuto, a quella del 6 luglio 2001, essendosi svolta il 27 maggio un’apparente attività istruttoria in mancanza del numero legale per ogni decisione; -b.2) per contraddittorietà e carenza della motivazione, non essendo stata riconosciuta la necessità della predisposizione di criteri e parametri del giudizio, indispensabili invece per valutare sotto il profilo scientifico e culturale i requisiti per il riconoscimento, e per omessa pronuncia sul motivo di ricorso della insufficienza del mero rinvio al parere della Commissione ai fini della decisione sul riconoscimento. 4. L’appello deve essere accolto per le ragioni che seguono. 4.1. Nel caso di specie per il giudizio di idoneità dell’indirizzo metodologico degli istituti richiedenti il riconoscimento si applicano, in esercizio di discrezionalità tecnica, parametri e regole di certo caratterizzati da un rilevante margine valutativo; non di meno il giudizio deve essere fondato su presupposti esplicitati e su tale base propriamente motivato, in modo da consentire ai destinatari del provvedimento di ricostruire l’iter della valutazione e al giudice amministrativo di sindacarla secondo un criterio di attendibilità, indicandosi con ciò, in modo sintetico, sia il requisito estrinseco della non illogicità, irragionevolezza o palese travisamento dei fatti alla base della valutazione, sia anche quello, intrinseco, della correttezza dei criteri utilizzati e applicati, restando “comunque fermo il limite della relatività delle valutazioni scientifiche, potendo quindi il giudice amministrativo censurare la sola valutazione che si pone al di fuori dell’ambito di opinabilità cosicché il suo sindacato non resti estrinseco ma non divenga sostitutivo con l’introduzione di una valutazione parimenti opinabile” (Cons. Stato, Sez. VI, 17 giugno 2014, n. 7053). A questi fini è necessario che la valutazione scientifica oggetto del giudizio sia rapportata a parametri dapprima specificati e quindi motivata rispetto alla loro applicazione. 4.2. In questo quadro il Collegio giudica fondati i due motivi di censura della mancata previa specificazione dei criteri per il giudizio sulla validità dell’indirizzo metodologico adottato dall’lstituto e del difetto di istruttoria e motivazione del provvedimento negativo impugnato. 4.3. Quanto alla prima censura si osserva che: -come visto il regolamento dispone che gli istituti documentino “la validità del proprio indirizzo metodologico e teorico – culturale ed evidenze scientifiche che dimostrino la sua efficacia”, dovendosi trattare, si soggiunge, di un “indirizzo metodologico e teorico – culturale riconosciuto in ambito scientifico nazionale e internazionale” (art. 7, comma 1); -il parametro del giudizio di idoneità dell’indirizzo metodologico è quindi individuato dal regolamento negli essenziali requisiti della sua validità scientifica, anche in quanto riconosciuta in sede nazionale e internazionale, e della sua efficacia; con una previsione perciò astratta e sintetica, come è proprio delle prescrizioni in sede normativa che, ai fini del giudizio in concreto, richiede necessariamente la previa articolazione del parametro in criteri specificati atti a darne la misura per ciascun caso, così da rendere la motivazione del giudizio adeguata rispetto alle caratteristiche del metodo all’esame e appropriata per la comparabilità e omogeneità delle valutazioni; – nella specie nella riunione della commissione del 6 luglio 2001, poi assunta in quella del 24 giugno 2005, l’indirizzo metodologico proposto dall’Istituto è stato giudicato negativamente rispetto all’armonicità del modello, alla scientificità della base culturale, all’omogeneità metodologica, alla connessa, ritenuta “confusività degli elementi rilevati”, senza previa specificazione di criteri atta a preordinare e graduare il valore da dare a ciascuno di questi come ad altri elementi di definizione della validità scientifica e dell’efficacia del metodo proposto, incluso il suo riconoscimento o meno in sede nazionale e internazionale, nella specie (anche negativamente) non richiamato; né a ciò si è provveduto al fine dell’esame da svolgere sulla reiterata istanza dell’Istituto del 26 gennaio 2005. 4.4. La seconda censura è fondata, poiché: – come visto la commissione nel parere del 24 giugno 2005 afferma che, esaminata la reiterazione dell’istanza di riconoscimento e udito il rappresentante legale dell’Istituto, “ha constatato che la nuova relazione scientifico – didattica, pur modificata in alcune parti, non presenta elementi nuovi motivati e documentati rispetto alla precedente per la quale nella seduta del 6 luglio 2001 era stato espresso parere negativo”; – pur richiamate, perciò, sia l’audizione del rappresentante dell’Istituto sia l’intervenuta modificazione della relazione presentata in precedenza, nulla è precisato su quali siano stati gli ulteriori elementi prodotti in tali modi per il nuovo esame e sulle ragioni per cui siano stati specificamente ritenuti insufficienti, venendo soltanto affermato sinteticamente che non sono risultati innovativi di quanto agli atti per il giudizio del 2001, con conseguente, palese vizio di difetto di istruttoria e di motivazione del giudizio così reso. 5. Per le ragioni che precedono l’appello è fondato e deve essere perciò accolto, dovendo essere rinnovato il giudizio per cui è causa con le modalità sopra esposte, fermo il riscontro dei requisiti strutturali, al fine della più compiuta e rigorosa valutazione, nel caso di specie come in generale, dell’idoneità formativa all’esercizio della delicata attività della psicoterapia. La particolare articolazione dei profili di fatto e di diritto della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) accoglie l’appello in epigrafe, n. 1153 del 2010, come da motivazione, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione. Spese dei due gradi compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2015, con l’intervento dei magistrati: Luciano Barra Caracciolo, Presidente Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore Roberto Giovagnoli, Consigliere Bernhard Lageder, Consigliere Andrea Pannone, Consigliere