Aletheia (ἀλήθεια) è una parola greca tradotta in più maniere come “dischiudimento”, “svelamento”, “rivelazione” o “verità”. Il significato letterale della parola ἀ–λήθεια è “lo stato del non essere nascosto lo stato dell’essere evidente” e implica anche la sincerità, così come fattualità o realtà (Liddell–Scott–Jones, Greek-English Lexicon, Oxford 1996, p.63).

M. Heidegger, che inizialmente interpretò il termine con l’unico significato di “ verità”, ne “ La dottrina di Platone sulla verità, SEI, Torino” e in “Essere e tempo, Napoli, Guida”, attraverso diverse analisi e ricerche etimologiche, ne confermò il significato primo di “svelamento”.

       Chi, agli albori della nascita della cultura occidentale, si occupò di verità, fu Parmenide che, a differenza degli altri presocratici che ricercano l’archè, il principio che costituisce la Natura, si pone la questione dell’Essere in sé.

Conosciamo Parmenide dall’unico scritto pervenutoci, “Poema sulla Natura” e da un’opera tarda di Platone “Parmenide”.

       Il poema di Parmenide descrive un cammino, un percorso possibile da intraprendere per giungere alla conoscenza della Verità, intesa come Aletheia, svelamento dell’Essere che egli contrappone alla Doxa, l’opinione, le false convinzioni degli uomini. L’ alètheia, la via dello svelamento dell’essere, è insegnata al filosofo da Dike, dea della giustizia. Per Parmenide, infatti, l’Essere va strappato all’occultamento, va disvelato. Anche Eraclito, che definisce l’ente come qualcosa che non si mostra, in uno dei suoi frammenti, attesta che “La natura ama nascondersi” e, il compito dei sapienti, è portare alla luce l’essere.

  • ταῦτα ἢ ἀληθινώτερα ( tauta e aletinòtera)– è la pura verità
  • ἀλήθεια [ἡ](aletheia) – dire la verità τἀληθῆ -taletè (ovvero τὰ ὄντα) λέγω

Il termine “veritas”, invece, di origine balcanica e slava e con il significato di “fede”, introdotto nella romanità (Cicerone), rimanda a qualcosa da accettare in quanto conforme ad una realtà oggettiva non da svelare attraverso la conoscenza. (Adorno, enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche).

       Secondo l’Ontosofia, per cogliere la verità e per esserne colti, ci si deve trovare nello stato della visione dell’Essere, affinchè questa, attui, il proprio disvelamento alla coscienza che, a sua volta, deve ricercare, ritrovare e mantenere l’idea della visione dell’Essere, come proprietà impeccabile e naturale della soggettività esistente.       Questa nomina la verità appresa dall’evidenza della visione ontica e, nel nominarla, ne lascia sottesa e aperta, la via dell’oltre, metà odòs, da cui, nel significato dell’Ontosofia, metodo e verità scientifica, traggono il radicamento e l’ulteriore visione appagante della realtà che si è e si conosce.

       Riportiamo un sogno inerente l’aletheia, fatto da una persona in formazione.

“ vestita di un lungo abito bianco e marrone corro, fuggendo da qualcosa o qualcuno, verso un arco in pietra, oltrepasso l’arco ritrovandomi in un chiostro, “io uscivo da dentro ma dal buio” ( questa frase sottolinea, nella sequenza immaginifica onirica, la ricerca della verità da parte del sognatore ndr.). In lontananza una panchina in pietra sulla quale stava seduto un anziano saggio con lunghi capelli e barba bianchi e una tunica in lana color beige. Corro verso di lui, intorno c’era confusione, molta gente che correva e fumo che fuoriusciva dagli archi che davano sul chiostro. Arrivata innanzi la panchina mi inginocchio, poggio la testa sulle sue gambe e dico: “Maestro, Maestro vieni via con me”.

Quel sapiente, tranquillo e ammiccando un sorriso comprensivo della sua consapevolezza di continuità dell’essere, mi carezza la testa e dice : “ aletheia, aletheia, ma io torno!!”. L’atteggiamento era di chi voleva lenirmi il dolore della dipartita e invitarmi a considerare la realtà di un eterno ritorno, o di una continuità della vita (come, la metensomatosi pitagorica in qualche modo, concepiva ndr.).