Se oggi si prospetta la necessità per l’uomo di ritrovare un senso di vita che risulti in armonia con l’ambiente circostante, in passato questo avveniva spontaneamente ed in modo del tutto naturale.
La consapevolezza che i fenomeni naturali non erano prodotti dal caso ma regolati da un sistema di causa ed effetto e la conoscenza di come l’ambiente, lo stile di vita, i rapporti umani, intervenissero nella determinazione dello stato psicofisico individuale, hanno fatto si che nelle antiche culture della Magna Grecia, culla della civiltà dell’occidente, si cercasse di riproporre, in tutte quelle che erano le “ vicende umane” la naturale armonia del Cosmo. Per i greci l’armonia era la Physis, la Natura, cioè la totalita’ delle cose “venute all’essere”, era l’equilibrio perfetto.
L’idea dell’Armonia Cosmica venne introdotta dalla scuola di Pitagora nell’enunciazione della dottrina dell’anima con la distinzione tra “ terminato e interminato”. Filolao, discepolo di Pitagora e contemporaneo di Socrate, riporta nel suo scritto :” Circa la Natura e l’armonia”
“ L’Essenza delle cose, che è eterna e la stessa natura, ammettono conoscenza divina e non umana; oltre che non sarebbe possibile che alcuna delle cose esistenti venisse da noi conosciuta se l’essenza delle cose di cui consta il cosmo non fosse insieme di cose terminate e cose interminate. Poiché i princìpi non nacquero simili né omogenei sarebbe stato impossibile creare con essi il cosmo, se non fosse intervenuta Armonia, qualunque sia stato il modo in cui essa è nata”
( Pugliese Carratelli, Megale Hellàs, UTET). La concezione dell’appartenenza alla totalità ha fatto si che si sviluppasse un profondo rispetto di quello che era esterno all’uomo proprio perché convinti del continuo scambio tra l’Essere Umano ed il Divino.
Vi è una correlazione tra il senso dell’Essere ed il senso di Dio. La religione altro non è che “ il percorso” attraverso cui si tende al senso dell’Essere Divino.( F.Palmirotta – Lezione di Musicoterapia)
Questa convinzione è ben visibile anche nel tipo di architettura del tempo, i Templi, la oikos divina, che, oltre a dare immediatamente una sensazione visiva di armonia, mostrano chiaramente la concezione del rapporto con il Divino. Il Tempio greco, infatti, era una struttura semi aperta a testimoniare la continua interazione sinergica tra esterno e interno, con all’interno l’altare accessibile a tutto il popolo. All’interno dei templi, oltre che le cerimonie, venivano istruiti i giovani sulle Arti e sulle Scienze. Nella costruzione venivano rispettate le “ sacre geometrie”, quelle alla base delle Scienze Matematiche col fine di inserire l’uomo nella Legge Universale dell’Armonia.
“ Che cos’è il più bello?” “ l’Armonia”
Questo è uno dei “segreti” pitagorici di cui ci parla Giamblico nella sua “ Vita pitagorica” dove più che la celebrazione di un Maestro, si vede la ricostruzione di una prassi di vita virtuosa
Il cercare continuamente di mantenere l’armonia tra l’uomo e la natura, si manifestava soprattutto nel Mito attraverso cui viene narrata una realtà primigenia che sarebbe inconoscibile all’uomo attraverso l’uso della logica. È una verità eterna che trascende il tempo. I miti suscitano la comprensione intuitiva diretta; mettono in luce corrispondenze fra mondo esterno e mondo interno, fra macrocosmo e microcosmo. Il Mito è anche l’espressione della Bellezza della Verità assimilabile al concetto di Bene ( Uno) plotiniano dove la Bellezza altro non è che :
“armonizzazione delle parti della Natura e la salute c’è quando il corpo si accorda nell’Unità.”
Unità vista come Intelligenza, Saggezza, Bene che interagisce con l’anima umana continuamente.
E ancora nella celebrazione dei rituali misterici legati ai cicli della Terra. Presenti in tutte le culture, ne sono un esempio i Misteri Eleusini, celebrati due volte l’anno nella città di Eleusi. La data di celebrazione corrispondeva ai momenti di riposo e di risveglio della natura. Legati al culto di Demetra ( Cerere per i romani) privata della figlia Perfesone rapita dal dio degli Inferi; Persefone ( Kore) viveva 6 mesi nell’Ade e sei mesi fuori dagli inferi, i sei mesi ipogei corrispondevano all’inverno, periodo di riposo per la fertilità della terra. In attesa che Persefone tornasse e Demetra ripristinasse la fertilità della terra e la raccolta delle messi.
Lo stesso concetto di “Philosophia” includeva un modus vivendi, si trattava infatti di pratica filosofica. I filosofi alla loro dottrina associavano una “scuola” dove oltre agli insegnamenti di arti e scienze, vigeva una condotta di vita finalizzata al raggiungimento e/o mantenimento di quell’armoniosità nell’Essere Umano che era responsabile della buona salute psicosomatica individuale prima, e della collettività in un secondo momento.
Era questo lo scopo del movimento filosofico-religioso nato in Grecia nel VII sec. a.C. circa: l’Orfismo, il cui nome è collegato a quello del Poeta-Cantore Orpheus che partecipò alla spedizione degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro.
Ad Orfeo, la leggenda narra che fu lo stesso Apollo a donargli la Lira. Con il suo strumento Orfeo, era in grado di “incantare” non soltanto gli animali, ma anche alberi, rocce traendone le “ divine armonie”. Fu questo il motivo per cui accompagnò la spedizione degli Argonauti durante la quale egli era in grado di placare le tempeste in mare con il suo strumento apollineo, ripristinando l’armonia. Il mito narra che Orfeo morì a causa della sua passione amorosa, quando, nel tentativo di riportare la sua amata Euridice dal regno degli inferi, non seppe resistere all’ammonimento di Ade che gli proibiva di voltarsi indietro durante l’ascesa e guardare Euridice in volto. Orfeo si voltò ed Euridice venne nuovamente rapita negli abissi degli inferi. Orfeo capii il le motivazioni che lo indussero a voltarsi e, la consapevolezza, lo portò ad avere un atteggiamento distaccato e sprezzante nei confronti delle donne di Tracia, le baccanti, le quali ( secondo la versione di Pausania) sentendosi oltraggiate lo fecero a pezzi. Soltanto interrompendo l’armonia del suono generato dalla lira di Orfeo fu possibile ucciderlo, quando le urla delle baccanti ed il suono del corno furono più forti del suono della lira.
Orfeo è l’esempio di una comunicazione non verbale, in questo caso lui utilizzava la musica per collegarsi al linguaggio della natura, da anima ad anima. L’anima viene incantata, tenderebbe ad eclissarsi se si volesse farla discorrere secondo la logica razionale
Secondo la concezione orfica, nell’uomo agiscono contemporaneamente una parte divina ed una, detta titanica, passionale vista in accezione negativa nel momento in cui “ violenta lo spirito” umano. L’uomo può conoscere in vita la sua vera natura, ma per farlo deve allontanarsi dal “ modo di vivere le sue passioni”, deve far si che queste non divengano una limitazione per la sua coscienza, ma che vivano in armonia con essa. Per far si che questo accada l’uomo deve vivere una vita “ispirata” al Bene, un cammino che lo porti alla scoperta del divino in lui. Secondo l’orfismo prima ed il pitagorismo poi, la psiche era contenuta nel corpo degli uomini e soltanto una catarsi, purificazione, poteva liberarla dalle concupiscenze e donarle vita eterna. Ma cosa era il “Primo Bene” a cui bisogna tendere ? Plotino nelle Enneadi distingue il primo Bene dagli altri beni:
“Dato che un essere è composto da diverse parti ed il suo bene è l’atto proprio, naturale e non deficiente della parte migliore, si potrà dire che per ogni essere il bene è diverso dall’attività di una vita conforme a natura? Il bene naturale per l’anima è la sua attività. Ma se una anima tende i suoi atti verso il perfetto, essendo anch’essa perfetta, il bene non è tale soltanto per lei, ma è il Bene assolutamente concepito.
( Plotino-Enneadi, VII (54))
Questo era il senso della vita filosofica, una vita tesa alla purificazione affinchè anche in vita si possano palesare i segni della vita psichica intesa come vita dell’Anima.
“ Ricondurre il divino che è in noi al divino dell’universo” faceva dire Porfirio a Plotino. Perché questo potesse avvenire in vita era necessaria la purificazione dell’anima. Sebbene le dottrine sia di Pitagora che Platone e Plotino, parlino di purificazione dell’anima, tanto quanto le varie e diverse confessioni religiose, ciò che le distingue da esse è il fatto che la purificazione dell’anima, avviene attraverso l’anima stessa e non grazie ad interventi esterni che portano in salvo le anime macchiatesi di peccato ( il “ Salvatore” per i cristiani ).
La catarsi avveniva seguendo delle precise discipline che avevano lo scopo di temprare l’anima e le sue pulsioni, di liberarla dalla sua egoicità che offuscava la visione dell’Uno-Tutto; mancanza di visione che privava l’uomo della sua partecipazione all’armonia del cosmo. Era questo “difetto” a generare uno squilibrio psicosomatico responsabile di dis-armonia che era poi alla base della mancanza di benessere.
A questo servivano le ritualità del tempo oggi contaminate dal dilagante riduzionismo che le depaupera del loro originario senso-azione riducendole ad un insieme di false credenze, ignoranza condita con un po’ di depravazione che non guasta mai.
Attraverso l’esercizio della contemplazione, che non consisteva in una passiva immobilità fisica con lo sguardo fissato su un oggetto, ma era un’attività volitiva cosciente dell’uomo e per questo dotata di una forza generatrice, si diventava un tutt’uno con l’oggetto contemplato. L’attività contemplativa era dedita alla conoscenza del Principio e comportava la trasformazione di sé guidata da Amore. Amore inteso come forza primigenia generatrice del cosmo. Le qualità e virtù delle anime dipendevano infatti da quello che contemplavano. Ne dà una descrizione Platone nel mito della Biga Alata, nel quale viene spiegata la vera natura dell’Anima:
. “La vera ragione per cui le anime si affannano tanto per scoprire dove sia la Pianura della Verità è che lí in quel prato si trova il pascolo congeniale alla parte migliore dell’anima [c] e che di questo si nutre la natura dell’ala, onde l’anima può alzarsi. Ed ecco la legge di Adrastea. Qualunque anima, trovandosi a seguito di un dio, abbia contemplato qualche verità, fino al prossimo periplo rimane intocca da dolori, e se sarà in grado di far sempre lo stesso, rimarrà immune da mali.”
Perché l’arte contemplativa potesse portare alla percezione bisognava, afferma Plotino, farsi uno in se stesso, togliere il superfluo, rimanere essi stessi ciò che si voleva conoscere.
Tu eri già tutto, ma poiché qualche cosa ti si è aggiunta in più del tutto, tu sei diventato minore del tutto per questa aggiunta stessa. Tale aggiunta non aveva nulla di positivo, era interamente negativa. […]Chi diventa qualcuno non è più il tutto, gli aggiunge una negazione. E ciò dura finché non si scarti tale negazione. […]. Ma se uno s’è fatto qualcuno per mezzo del non essere, egli è non-tutto, e sarà tutto quando avrà eliminato il non-essere. ( Plotino-Enneadi)
Vi erano alcune regole di base comuni alle più famose scuole filosofiche. Queste erano:
Limitarsi nell’assunzione di carni
Attenersi al necessario nel mangiare e nel bere
Non coltivare l’irascibilità
Sopprimere la paura
Estirpare la concupiscenza per ciò che è impuro
Coltivare le virtù
Interrogare la coscienza sul proprio operato
Venivano chiamati “ consigli” e, se ci soffermiamo, sembrano più attuali che mai. Cibarsi di carne veniva considerato dannoso già 2500 anni addietro, quando ancora gli animali “da carne” non venivano allevati ad antibiotici e steroidi per aumentarne la massa.
“Est modus in rebus” diceva Protagora: c’è una misura in ogni cosa, e l’equilibrio era alla base della vita filosofica; equilibrio che si manifestava nel mangiare, nel bere, nei sentimenti di gioia o dolore che siano. Particolare rilievo veniva dato al sentimento della paura: essa, infatti, era nemica della Volontà intesa come energia pura e creatrice.
Le limitazioni consigliate, non costituivano una sorta di proibizionismo, ma erano solo la prima tappa della catarsi che poi consentiva quello che era il vero fine della prassi filosofica: il coltivare le virtù che avvicinava l’uomo al Sommo bene e lo metteva in contatto con il divino in lui. Come già facevano gli orfici:
“…e il contrario sentiamo dire in altre occasioni, quando non si osava neppure gustare la carne di bue, né si sacrificavano animali agli dèi, bensì si offrivano focacce e frutti immersi nel miele e altri simili sacrifici puri, e quando ci si asteneva dalle carni, ritenendo contrario alla religione il mangiarne e macchiare di sangue gli altari degli dèi: piuttosto gli uomini viventi allora avevano certi modi di vita che si chiamano orfici, rivolgendosi a tutto ciò che non ha vita e astenendosi al contrario da tutti gli esseri animati”. (Platone, Leggi, 782 c-d)
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